martedì 14 aprile 2015

Tavola Calda: PAOLO TOFANI. Dentro come fuori. Il suono sopra ogni cosa




La ricerca di profondità pretende una costante modifica del proprio punto di vista, che lentamente si amplia mano a mano che si scandaglia la propria interiorità.

Ad un certo punto bisogna capire dove si sta andando.

Durante la presentazione del disco Live 2012, una raccolta di esibizioni dal vivo, mi è venuto istintivo chiedere a Paolo Tofani se avesse trovato il tanto ricercato equilibrio interiore.

Il contesto mi sembrava indicato, poche persone, presentazione conclusa, autografi già fatti.

Con una calma inaspettata mi ha risposto, sorridendo: <<E’ una ricerca continua. Frequento questa dimensione da trent’anni e proseguo nella ricerca giorno per giorno>>.

Paolo Tofani trenta anni fa ha deciso di interrogarsi. È già un chitarrista rock con una modesta fama, proveniente da un periodo di formazione in Inghilterra. Esordisce poco più che adolescente nei Califfi, dopo aver imparato a suonare da autodidatta. La chitarra, del resto, è il suo primo amore.

Quando sembra che il successo stia arrivando lui svolta immediatamente e parte con la moglie.
In Inghilterra si esibisce in diversi locali, completamente da solo, insieme alla chitarra, oggetto/soggetto a cui è simbioticamente legato che lo accompagna costeggiando ogni sua fase di ricerca interiore.

È un periodo in cui sperimenta sonorità di vario genere e livello e trascorre parte del suo tempo libero a incidere provini nel salotto di casa del suocero su un registratore stereo Revox. La sua seconda folgorazione, la prima dopo la chitarra, ha il nome di Sintetizzatore.
Nel 1973 in Italia si sta formando un gruppo sperimentale (d’avanguardia si diceva un tempo) che vuole incidere nell’atmosfera musicale con un suono che sintetizzi i migliori motivi del folklore tradizionale con l’avanguardia ricercata, ambita, desiderata.
Il gruppo si chiama Area, un complesso destinato a solcare i palchi del panorama rock italiano ed europeo dando vita a gioielli musicali che diventeranno presto di culto.
Sono un gruppo rock con un colore differente, autonomo, formato da musicisti con l’indole dei ricercatori del suono, un suono nuovo, energetico, vitale e incisivo.

Il cantante, Demetrio Stratos, farà della voce un perno su cui strutturerà tutta la sua caratura artistica, trasformandola in un vero e proprio strumento musicale polifonico e in un corposo tema di approfondimento accademico.

Calca diversi palchi, trasformando i concerti in dimostrazioni d’avanguardia. 

Un virtuoso della chitarra, in grado di mescolare diverse influenze.

Tofani modifica e assembla suoni da varie distanze. Un campionatore umano di creatività la cui cifra stilistica si esemplifica nella precisione tecnica che lo porta a progettare, al pari di un artigiano, la Trikanta Veena nuovo strumento a corda a metà tra un sitar e una chitarra che forma melodie degne della migliore tradizione del raga rock, il rock indiano, coincidente con il cambio di equilibrio interiore che avviene dentro l’artista che da diversi anni ha abbracciato la religione Hare Krishna. 

Vuole trovare se stesso e decide di approfondirsi seguendo la strada orientale, condividendo, per altro, la cella dell’ashram con Krishna Caitanya Dasa ovvero Claudio Rocchi, compianto cantautore, poeta dell’anima, ricercatore spirituale e monaco induista per 15 anni.

Tofani prosegue la sua ricerca segnando i passi con i suoni della sua interiorità.

La ricerca è fatta di svolte, di qualche passo avanti e qualcun altro indietro, ma la strada è sempre quella, inevitabile quando si inizia, della consapevolezza.


Occidente

venerdì 3 aprile 2015

Tavola Calda: ANDREA SCANZI/GIULIO CASALE, DALLA PARTE DI DE ANDRE’ SU “LE CATTIVE STRADE”



Fantasia. Non solo invenzione artistica ma anche indagine dell’anima. 
Un’indagine che si pone il fine, nobile e difficile, di andare oltre il limite, spesso invalicabile, della retorica.
La retorica del fatto che vada tutto bene, del fatto che sono tutti italiani, un popolo di santi, poeti, navigatori e via di retorica andante.

Su Fabrizio De Andrè è stato detto di tutto e di più: “Il più grande poeta del novecento”, “uno chansonnier”, il regista Wim Wenders addirittura lo ha definito un “santo”.

Dopo le definizioni sorge spontaneo anche chiedersi cosa avrebbe pensato Fabrizio De Andrè di queste stesse definizioni, perché ormai De Andrè è di tutti e ognuno gli appiccica una parte di sé alleggerendo se stesso e i propri pensieri ma appesantendo una figura che, nonostante le definizioni, ha lasciato un marchio indelebile nel modo di fare musica, di pensarla, non solo, ma anche nel gettare lo sguardo oltre il proprio ombelico.

Andrea Scanzi, firma illustre del giornalismo italiano, ha colto l’essenza dell’arte di De Andrè ed insieme a Giulio Casale, voce degli Estra, chitarrista e scrittore, ha dato vita ad uno spettacolo teatrale che ripercorre l’opera musicale del cantautore genovese intersecandola con la sua emotività.  Il titolo è emblematico: Le cattive strade, proprio come la celebre canzone e le strade preferite dall'
artista di Genova.

Cattive strade non per forza dal punto di vista morale, ma cattive in quanto fuori dall’ordinario, dal gruppo, etichettate diverse e disgustose secondo il pregiudizio comune.

Ma per questo più vere, vitali, oneste e, soprattutto, in grado di smantellare tutte quelle gabbie mentali e di aprire lo sguardo verso la dignità umana dell’Altro (con la A maiuscola), messaggio di cui De Andrè si farà portavoce già a partire dalla Buona Novella.

Il racconto della biografia deandreiana è inframmezzato da interpretazioni acustiche di canzoni epocali come Inverno, La canzone del maggio o la bruciante Preghiera in gennaio (dedicata al compianto Luigi Tenco).

Con questo spettacolo Scanzi ha raccolto il testimone di De Andrè facendosi megafono di un messaggio che parte dal cuore ed istintivamente sta dalla parte degli esclusi, degli emarginati, di chi per nascita od essenza è destinato a stare fuori da qualsiasi tipo gruppo, branco, istituzione ma di questo  ne fa una medaglia, un vanto, un motivo quasi di  orgoglio.


Occidente