mercoledì 13 maggio 2015

Tavola Calda: Fabiano Lioi, una vita sempre oltre


Ripropongo un articolo che ho scritto tre anni fa per la rivista KultUnderground.

È un ritratto del geniale artista Fabiano Lioi, musicista, attore e persona di spessore con parecchie cose da raccontare.

Il musicista jazz Michel Petrucciani diceva: “Se non posso essere normale voglio essere un’eccezione, un artista eccezionale”. E Lucio Dalla, in una sua canzone, diceva a sua volta: “L’impresa eccezionale è essere normale”. Allora è meglio essere normali o eccezionali? Una domanda retorica prevede una risposta scontata: tutti siamo un’eccezione. È vero, siamo tutti inevitabilmente ed essenzialmente diversi, inadatti a qualsiasi tipo di omologazione, anche coatta. 

L’omologazione è una limitazione della libertà, a detta di molti. Una limitazione della libertà di dire, di pensare e di creare. Tutti questi lati della libertà sono la cosa che sta più a cuore al musicista e attore italo-cileno Fabiano Lioi che rivendica la sua eccezionalità in ogni occasione, sia quando si tratta di suonare con disinvoltura chitarra batteria e pianoforte, sia quando si cimenta come attore in singolari spettacoli. Al pari di Michel Petrucciani, Fabiano soffre di una patologia chiamata osteogenesi imperfetta, che comporta un’ estrema fragilità ossea, oltre che problemi di deambulazione e di sviluppo.  Ma ciò che per molti può sembrare un limite, può diventare al tempo stesso una risorsa per dimostrare ad una società in cerca di figure forti, chi forte lo è per davvero, tutti i giorni, senza bisogno di indossare maschere.

Nato in Cile nel 1977, a diciannove anni lascia la casa paterna e a venti si trasferisce stabilmente a Roma  conducendo, per qualche tempo, una vita sregolata (dormendo alcune notti in una stazione). Sempre a Roma frequenta la Scuola Sipario Musica in cui impara a suonare. Ma la svolta è presto in arrivo: incontra sulla sua strada il professor Paolo Falessi , fondatore del gruppo Ladri di Carrozzelle, gruppo composto da musicisti disabili, attivo dal 1990. Nel gruppo, Fabiano, coltiva il suo carattere istrionico e le sue doti di musicista diventando presto una colonna portante della band. 

Affronta la vita con grinta, autostima e ironia, definendosi un ribelle, anarchico nel cuore. Purtroppo un brutto incidente motociclistico dovrà porre fine alla sua attività di musicista, lasciandolo inattivo per quasi un anno e lo costringerà ad abbandonare i Ladri. Ma è proprio lo spirito guerriero, il coraggio e l’incredibile voglia di vivere a dargli la forza necessaria per reagire ai postumi dell’incidente e a schiaffeggiare, anche in questo caso, una sorte che sembra volersi prendere gioco di lui.

È ora all’attivo con cortometraggi, sceneggiature e si diletta a suonare la chitarra in un gruppo dal nome evocativo ‘Mantic’, come il màntis, il profeta della cultura greca. Uno dei tanti progetti in cui è impegnato prevede la realizzazione di un documentario che intende mostrare quanto la disabilità si possa rivelare una risorsa e non solo un limite, infrangendo quindi le barriere architettoniche, non solo reali, ma anche mentali e culturali che affliggono la società italiana.

Durante la trasmissione Invincibili, trasmessa su Italia1, Fabiano Lioi, dice “Dò la parte migliore di me quando sono su un palco. Quando sto creando mi sento vivo”. Possiamo dire che questa è la conferma che l’arte, musica compresa, sia la linfa vitale per ogni tipo di energia creativa e di profonda sensibilità, scandagliando le porte dell’anima e facendo emergere, appunto, la parte migliore >>.

Occidente                       


Fonte: http://www.kultunderground.org/art/17630  

martedì 14 aprile 2015

Tavola Calda: PAOLO TOFANI. Dentro come fuori. Il suono sopra ogni cosa




La ricerca di profondità pretende una costante modifica del proprio punto di vista, che lentamente si amplia mano a mano che si scandaglia la propria interiorità.

Ad un certo punto bisogna capire dove si sta andando.

Durante la presentazione del disco Live 2012, una raccolta di esibizioni dal vivo, mi è venuto istintivo chiedere a Paolo Tofani se avesse trovato il tanto ricercato equilibrio interiore.

Il contesto mi sembrava indicato, poche persone, presentazione conclusa, autografi già fatti.

Con una calma inaspettata mi ha risposto, sorridendo: <<E’ una ricerca continua. Frequento questa dimensione da trent’anni e proseguo nella ricerca giorno per giorno>>.

Paolo Tofani trenta anni fa ha deciso di interrogarsi. È già un chitarrista rock con una modesta fama, proveniente da un periodo di formazione in Inghilterra. Esordisce poco più che adolescente nei Califfi, dopo aver imparato a suonare da autodidatta. La chitarra, del resto, è il suo primo amore.

Quando sembra che il successo stia arrivando lui svolta immediatamente e parte con la moglie.
In Inghilterra si esibisce in diversi locali, completamente da solo, insieme alla chitarra, oggetto/soggetto a cui è simbioticamente legato che lo accompagna costeggiando ogni sua fase di ricerca interiore.

È un periodo in cui sperimenta sonorità di vario genere e livello e trascorre parte del suo tempo libero a incidere provini nel salotto di casa del suocero su un registratore stereo Revox. La sua seconda folgorazione, la prima dopo la chitarra, ha il nome di Sintetizzatore.
Nel 1973 in Italia si sta formando un gruppo sperimentale (d’avanguardia si diceva un tempo) che vuole incidere nell’atmosfera musicale con un suono che sintetizzi i migliori motivi del folklore tradizionale con l’avanguardia ricercata, ambita, desiderata.
Il gruppo si chiama Area, un complesso destinato a solcare i palchi del panorama rock italiano ed europeo dando vita a gioielli musicali che diventeranno presto di culto.
Sono un gruppo rock con un colore differente, autonomo, formato da musicisti con l’indole dei ricercatori del suono, un suono nuovo, energetico, vitale e incisivo.

Il cantante, Demetrio Stratos, farà della voce un perno su cui strutturerà tutta la sua caratura artistica, trasformandola in un vero e proprio strumento musicale polifonico e in un corposo tema di approfondimento accademico.

Calca diversi palchi, trasformando i concerti in dimostrazioni d’avanguardia. 

Un virtuoso della chitarra, in grado di mescolare diverse influenze.

Tofani modifica e assembla suoni da varie distanze. Un campionatore umano di creatività la cui cifra stilistica si esemplifica nella precisione tecnica che lo porta a progettare, al pari di un artigiano, la Trikanta Veena nuovo strumento a corda a metà tra un sitar e una chitarra che forma melodie degne della migliore tradizione del raga rock, il rock indiano, coincidente con il cambio di equilibrio interiore che avviene dentro l’artista che da diversi anni ha abbracciato la religione Hare Krishna. 

Vuole trovare se stesso e decide di approfondirsi seguendo la strada orientale, condividendo, per altro, la cella dell’ashram con Krishna Caitanya Dasa ovvero Claudio Rocchi, compianto cantautore, poeta dell’anima, ricercatore spirituale e monaco induista per 15 anni.

Tofani prosegue la sua ricerca segnando i passi con i suoni della sua interiorità.

La ricerca è fatta di svolte, di qualche passo avanti e qualcun altro indietro, ma la strada è sempre quella, inevitabile quando si inizia, della consapevolezza.


Occidente

venerdì 3 aprile 2015

Tavola Calda: ANDREA SCANZI/GIULIO CASALE, DALLA PARTE DI DE ANDRE’ SU “LE CATTIVE STRADE”



Fantasia. Non solo invenzione artistica ma anche indagine dell’anima. 
Un’indagine che si pone il fine, nobile e difficile, di andare oltre il limite, spesso invalicabile, della retorica.
La retorica del fatto che vada tutto bene, del fatto che sono tutti italiani, un popolo di santi, poeti, navigatori e via di retorica andante.

Su Fabrizio De Andrè è stato detto di tutto e di più: “Il più grande poeta del novecento”, “uno chansonnier”, il regista Wim Wenders addirittura lo ha definito un “santo”.

Dopo le definizioni sorge spontaneo anche chiedersi cosa avrebbe pensato Fabrizio De Andrè di queste stesse definizioni, perché ormai De Andrè è di tutti e ognuno gli appiccica una parte di sé alleggerendo se stesso e i propri pensieri ma appesantendo una figura che, nonostante le definizioni, ha lasciato un marchio indelebile nel modo di fare musica, di pensarla, non solo, ma anche nel gettare lo sguardo oltre il proprio ombelico.

Andrea Scanzi, firma illustre del giornalismo italiano, ha colto l’essenza dell’arte di De Andrè ed insieme a Giulio Casale, voce degli Estra, chitarrista e scrittore, ha dato vita ad uno spettacolo teatrale che ripercorre l’opera musicale del cantautore genovese intersecandola con la sua emotività.  Il titolo è emblematico: Le cattive strade, proprio come la celebre canzone e le strade preferite dall'
artista di Genova.

Cattive strade non per forza dal punto di vista morale, ma cattive in quanto fuori dall’ordinario, dal gruppo, etichettate diverse e disgustose secondo il pregiudizio comune.

Ma per questo più vere, vitali, oneste e, soprattutto, in grado di smantellare tutte quelle gabbie mentali e di aprire lo sguardo verso la dignità umana dell’Altro (con la A maiuscola), messaggio di cui De Andrè si farà portavoce già a partire dalla Buona Novella.

Il racconto della biografia deandreiana è inframmezzato da interpretazioni acustiche di canzoni epocali come Inverno, La canzone del maggio o la bruciante Preghiera in gennaio (dedicata al compianto Luigi Tenco).

Con questo spettacolo Scanzi ha raccolto il testimone di De Andrè facendosi megafono di un messaggio che parte dal cuore ed istintivamente sta dalla parte degli esclusi, degli emarginati, di chi per nascita od essenza è destinato a stare fuori da qualsiasi tipo gruppo, branco, istituzione ma di questo  ne fa una medaglia, un vanto, un motivo quasi di  orgoglio.


Occidente

venerdì 27 febbraio 2015

Tavola Calda: SUONI ED EMOZIONI. INTERVISTA A CHIARA VIDONIS



Originalità. È questa la prima parola che mi viene in mente pensando ai suoi lavori. A breve uscirà il suo album d’esordio.
Una voce graffiante e ruvida aggraziata da toni dolcissimi trasferisce i battiti del cuore in composizioni vibranti, bozzetti acustici ed elettrici che parlano dei movimenti di un’anima. Le piace Battisti. È di Trieste ma da qualche anno vive a Roma. È Chiara Vidonis.

Partiamo dal premio Pigro Cantautori in Vigna 2014, dedicato a Ivan Graziani. Cosa ha significato per te? Cosa ti ha spinto a fare la cover di Pigro?
Non partecipo a tutti i concorsi che vedo in giro, quelli a cui ho partecipato li ho sempre scelti con cura tra tanti, sicuramente troppi. Ho sempre amato Ivan Graziani, le sue canzoni, il suo modo di fare rock da cantautore, la sua personalità, partecipare già poteva essere una bella soddisfazione, vincerlo poi ha significato molto proprio per i motivi sopra detti. Dovevamo scegliere una cover da presentare accanto al’inedito e Pigro mi sembrava perfetta per una performance chitarra e voce. E’ oltretutto una delle canzoni di Graziani a cui sono piu’ legata da quando sono piccola, la faccio sempre durante i miei live.

Hai un modo di cantare molto viscerale, vissuto ed emotivo. Quali sono le tue influenze musicali e artistiche?
Mi sono avvicinata alla musica con quello che trovavo in casa, i dischi di mio fratello, in particolare De André e Guccini le mie due prime grandi passioni. Poi ho iniziato presto a cercare un mio modo di esprimermi, di scrivere musica mia, era quello che mi piaceva fare mi mancava musica composta da donne, non erano nei miei ascolti fino a che non ho scoperto Carmen Consoli ai suoi esordi rock e ne sono rimasta folgorata.
Diciamo che ammiro molto le personalita’ femminili nel rock, ma quelle poco scontate, quelle che anche solo a stare zitte su un palco hanno gia’ detto tutto. Janis Joplin, Beth Hart, Beth Gibbons, PJ Harvey per dirne alcune ma anche la splendida Cristina Dona’ o una personalita’ folle come quella di Nada.


Quando è avvenuto il tuo incontro/scontro con la musica?
Non ricordo bene, credo di essere stata sempre attratta dalla musica, Intorno ai 9 anni ho inziato a suonare la  chitarra, ho sempre scritto molto, quaderni di pensieri, cose, e quindi se non ricordo male intorno ai 12 anni ho scritto la mia prima canzone in inglese, è partito da là. Subito dopo pero’ ho iniziato a scrivere in italiano. E’ la mia lingua,non riuscirei ad esprimermi come voglio in inglese, anche se ogni tanto qualcosa in inglese la scrivo, mi preparo un piano di fuga.


Su cosa è incentrato il tuo album d’esordio?
Non so dirti, come spesso accade il primo disco e’ un best of di canzoni scritte in un arco temporale molto dilatato, sono 11 brani che sono un po’ il riassunto di quello che piu’ mi ha rappresentato in questi ultimi 5/6 anni, gli anni in cui ho definito, dal mio punto di vista, il mio stile. Essendo sempre a meta’ tra il mondo dei cantautori e il rock ho cercato di dare questo sapore al mio disco. Essendo poi un’autoproduzione ho potuto liberamente muovermi come volevo. Assieme a me in questa avventura ci sono persone davvero incredibili per la loro professionalità,  passione, dedizione e umanità.  Sono Stefano Bechini, Daniele Fiaschi, Andrea Palmeri e Simone de Filippis. Loro hanno suonato tutto nel disco e hanno un ruolo fondamentale nella produzione.

Da cosa parti per comporre una canzone? Un’emozione, una lettura, un suono?
Parto da quello che c’è, A volte mi viene in mente una frase, una linea melodica, le fisso e poi sviluppo tutto. Altre volte scrivo un testo e poi metto in musica, non ho delle regole precise, ma di solito il metodo che funziona meglio per me e’ l’improvvisazione.

Hai realizzato diverse cover tra cui Insieme a te sto bene di Lucio Battisti e Io e te di Edda. Che rapporto hai con queste canzoni?
Coverizzo solo chi amo, quindi il rapporto e’ di rispetto e amore. Amo molto il brano di Battisti perche’ potrebbe tranquillamente essere stato scritto ieri o tra 10 anni, sara’ sempre un brano attuale, diretto, semplice ed intenso. Edda invece è una scoperta più recente per me. Lo ascolto da quando ha avuto il suo debutto solista, quindi circa 5 anni fa, l’ho amato subito, non lo capivo bene all’inizio ma e’ un tipo di personalità che quando ti prende non ti molla, pretende che tu entri nella sua testa, non lo conosco personalmente ma questo e’ l’effetto che mi fa ascoltarlo. Io e te e’ una delle mie preferite.

Sei originaria di Trieste, ma vivi a Roma. In quale delle due città c’è più terreno fertile per le novità artistiche?
Beh è difficile dirlo, entrambe presentano dei vantaggi e degli svantaggi per un musicista, a Trieste suonano tutti ma non ci sono molti posti per farlo, è normale, non è una città grande e quello che c’è è comunque molto bello, appassionato.  A Roma ci sarebbero molte piu’ possibilita’ ma essendo comunque una città enorme, dispersiva, non è sempre facile emergere, ma non mi piace lamentarmi, poi uno deve sempre fare i conti con se stesso e con la sua capacita’ ad imporsi e darsi da fare.
         

Occidente

mercoledì 18 febbraio 2015

Tavola Calda: Suoni e ispirazioni per sensibilità metropolitane. INTERVISTA AI CRONACA E PREGHIERA











Membri della band:

Giuliano Billi: voce, chitarra, synth
Francesco Salvadori: chitarra, synth, cori
Ljubo Ungherelli: voce, performance
Vanessa Billi: voce, cori, synth
Antonio Polidoro: batteria, octopad



Ci troviamo di fronte ad un panorama dirompente ed esplosivo.

Un’unione incandescente fatta di chitarre distorte, drum muchine e sintetizzatori che si fondono in un miscuglio dal sapore piccante del post punk, dell’eco delle colonne sonore dei film di David Lynch, passando per i Daft Punk e il riverbero dei giornali scandalistici.
I Cronaca e Preghiera nutrono il loro progetto musicale con successo attraverso la diffusione online e, dal 2014, lo arricchiscono con un pacchetto di concerti dal vivo supportati da performance coreografiche.
Il loro omonimo album d’esordio è il frutto più autentico dell’autoproduzione, mezzo che consente una maggiore libertà economica ed espressiva.
Ai tre componenti della band si è aggiunto anche Ljubo Ungherelli, scrittore che ha all’attivo decine di romanzi, fan del gruppo, collaboratore ai testi e alle voci e artista totale.

Partiamo dall’inizio, dal titolo: Cronaca e preghiera. Come mai avete scelto questo nome? Che cosa è “Cronaca” e cosa è “Preghiera”?

Prima di tutto perché secondo noi suonava bene! Inoltre, mentre venivano fuori i primi brani, ci siamo resi conto che i testi in particolare avevano un preciso denominatore comune. Attingevano infatti, oltre al nostro personale vissuto, a fatti di cronaca estrapolati da giornali locali, così come da interviste, fumetti e altro ancora. Da qui il termine "Cronaca".
La "Preghiera" rappresenta invece la sublimazione della realtà, il nostro lato di spiritualità atea che dalla Cronaca trae spunto per raccontare la nostra visione del mondo.

Musicalmente sembra una sperimentazione che viaggia tra la new wave e il post punk degli ottanta unita alla migliore tradizione dello spoken word. Cosa vi ha spinto a seguire queste sonorità?

Il post punk è uno dei generi a cui siamo più affezionati ed è molto adatto alle tematiche che trattiamo nei testi; volevamo dare un suono molto urbano e metropolitano a questo disco. Ci sono però molte altre ispirazioni, prevalentemente di colonne sonore, specie quelle di David Lynch (in particolare per “La vita al tempo della crisi” e “Mi sposo un calciatore”) e David Cronenberg (per “Costa meno andare a troie”). In più, un uso dell’elettronica dettato tanto dal post punk quanto dai Daft Punk, ad esempio (“Condominio”).
In generale, tendiamo ad arricchire le canzoni con determinate peculiarità che a nostro parere servono a dare forza al messaggio, senza curarci più di tanto di eventuali rimandi o riferimenti.

I testi sembrano flussi di pensiero, sono molto espliciti, veri e surreali al tempo stesso. Da dove avete tratto l’ispirazione?

Quasi tutti i testi hanno un’origine autobiografica, filtrata dagli spunti di cronaca di cui si diceva poc’anzi. Usiamo spesso un linguaggio esplicito, non solo nelle parole ma anche nell’immediatezza, per svincolarci dall’abuso del testo ermetico (e incomprensibile), caratteristica del rock italiano anni ’80 e ’90. L’ispirazione viene dall’alienazione della vita nella metropoli e nella periferia suburbana (“Condominio”, “Una splendida giornata di sole”, “L’abominevole uomo cupo”) e dalla solitudine e superficialità con cui a volte si vive la coppia (“Costa meno andare a troie”, “Mi sposo un calciatore”, “Le cose sexy”). Un caso a parte è “Sogni infranti a Paderno Dugnano”, titolo letto su un giornale locale facendo colazione al bar. Strano accostamento tra due parole poetiche ed evocative e il brusco atterraggio sul nome di un comune lombardo. Da lì abbiamo incollato insieme vari stralci di articoli e ne è venuto fuori un ritratto disincantato e compassionevole della vita di provincia.

Quanta autobiografia è presente nei testi?

Moltissima, almeno l’80% dei testi parte da storie vissute in prima persona. Ci interessava in questo disco dare sfogo senza censure al lato oscuro, ai nostri sentimenti più negativi. “Condominio” racconta cose viste e vissute da Francesco quando abitava in un monolocale nel centro di Milano: le case di ringhiera milanesi rappresentano un microcosmo estremamente variopinto.  “Costa meno andare a troie” e “Ucciderti a rate” sono ritratti abbastanza fedeli di momenti di totale sfiducia nelle relazioni. C’è comunque una forte ironia che colora tutto questo nero, un modo di raccontare che paga pegno agli Skiantos, che ad onta dei giudizi più superficiali erano molto più di un semplice gruppo demenziale.

Come mai avete scelto di realizzare questo album attraverso l’autoproduzione?

Sentivamo che il disco doveva uscire così com’era nato: velocemente, senza ripensamenti. Quasi tutto il lavoro rispecchia i provini fatti in meno di una giornata. Non volevamo in quel momento produttori che ci dicessero cosa fare o ci costringessero a dilatare i tempi di pubblicazione. Così, dato che il mondo di oggi lo permette, abbiamo attinto ai nostri risparmi e registrato il disco, che stiamo promuovendo grazie al prezioso supporto di management e ufficio stampa di Astarte Agency. L’autoproduzione per un musicista è anche molto istruttiva, ti aiuta a capire fino in fondo i processi che vanno dalla creazione alla fruizione.

Ljubo, con che spirito ti sei approcciato a questo progetto? Quale è la tua idea di musica? Con quale forma d’arte preferisci comunicare?

A metà anni Duemila ero un fan della precedente incarnazione del gruppo, e quando mi è stato proposto di collaborare alla stesura dei testi di nuove canzoni ho accettato con incosciente entusiasmo, dato che non mi ero mai cimentato in questo genere di composizione (nell’altra mia esperienza musicale, Progetto Idioma, i testi erano stralci di miei romanzi declamati/urlati in modo assai poco ortodosso).
La mia idea di musica si può così riassumere: immediatezza, melodia, energia. E un’attenzione particolare allo spettacolo live nella sua accezione più ampia e non limitata a esecutori che suonano e cantano e fine. Tutti elementi che ritrovo in questa band.
Quest’anno cade il ventennale della mia carriera di scrittore ed è naturale che sia la prosa la forma espressiva con cui mi trovo più a mio agio. Mi sono comunque sempre rimesso in discussione e credo d’aver dato un significativo contributo anche in questa per me inedita veste di (co)autore di testi musicali.

Prossimi progetti in cantiere?

Suonare il nostro disco dal vivo il più possibile! Abbiamo due set, uno acustico per i club piccoli, più blues e intimo, e uno prettamente rock’n’roll per gli altri locali. Cerchiamo sempre di proporre un live che sia eccitante e coinvolgente a livello d’impatto scenico oltre che musicale. Siamo inoltre al lavoro su dei nuovi brani, mentre a breve vedrà la luce il videoclip del nostro secondo singolo “Ucciderti a rate”. Seguiteci ai concerti e sulle nostre piattaforme online e ne vedrete delle belle!


Occidente

giovedì 22 gennaio 2015

Tavola Calda: FINE BEFORE YOU CAME IN VERSIONE UNPLUGGED. IL CUORE VIBRA ANCHE IN ACUSTICO.



Tempesta di suoni, rombi elettrici trasferiti in chiave acustica ed eco incessante che risuona dentro e fuori dal palco.

I Fine Before You Came in versione unplugged entusiasmano.
Sulla scia del post-rock, hanno infatti riproposto un mix di brani dell’ep uscito nel 2014 Quassù c’è quasi tutto e alcuni brani degli album precedente in chiave acustica, con l’aiuto di un violinista. Da seduti.

Una scelta insolita per un gruppo solito furoreggiare in piedi in versione elettrica, ma azzeccata e il pubblico approva.

L’acustico trascina e le voci sostengono  l’impatto emotivo di pensieri quotidiani, trasformati in canzoni che descrivono giorni bruciati da un’atmosfera ristretta, soffocante, fredda in continua necessità di catarsi, che avviene attraverso la musica.
Canzone d’apertura: La Lista, brano dai suoni circolari contornato da un verso abrasivo che si imprime nelle orecchie questa volta dimmi cose che non vuoi / solo quelle che non vuoi / fai una lista delle cose che non vuoi.

Il concerto procede intenso, l’intima condivisione si lascia sfuggire l’energia vibrante del punk-rock elettrico ed elettrificato e le emozioni prendono vita come in un virtuale pogo sentimentale in cui il rimprovero si camuffa in considerazioni amare, a senso unico, proprio come recita il brano Natale.

E adesso che tutto sembra apposto/ manco io, manchi tu

Con lo spirito blues delle ballate il gruppo si espone apertamente mettendo in gioco la propria emotività, fondendo il passato con il presente in un plastico che ha l’effetto della dinamite.

I Fine Before You Came hanno fatto centro.


Occidente

foto di: Giovanni Garavaglia (copyright)

giovedì 8 gennaio 2015

LISTA DI VIGLIACCHI, RESPONSABILI, PARACULO, ECC.

Partiamo da questa premessa per quanto riguarda l'attentato di Parigi: << I due killer, identificati come i fratelli franco-algerini Said e Cherif Kouachi di 32 e 34 anni - reduci della guerra in Siria da cui sono tornati in Francia quest'estate >>

Detto questo, è giunto il momento di stilare una lista con i nomi dei responsabili del disastro in corso, che non riguarda solo l'ultimo attacco, ma anche tutto gli eventi disastrosi degli ultimi decenni. Perchè non ci sono solo l'Isis, Al Qaeda, Boko Haram e jihadisti vari, ma anche tutti coloro che li hanno aiutati, hanno taciuto o hanno più o meno prodotto gravi conseguenze con la loro insopportabile propaganda.

- Arabia Saudita: principale finanziatrice delle correnti più oscurantiste dell'Islam, fra cui principalmente il wahhabismo. Ha supportato la maggior parte dei gruppi terroristici islamici, specialmente in Siria, attraverso "privati".

- Kuwait, Qatar, altri emirati del golfo, ecc: hanno aiuto sottobanco numerosi gruppi terroristici, da Al Qaeda all'Isis, fino ad Al Nusra. Milioni di dollari sono passati dai loro conti a quelli dei jihadisti islamici. 

- Turchia: doppiogiochista, membro della Nato, ha aiutato occultamente l'Isis con denaro, addestramento e consentendo ai jihadisti europei di entrare in Siria da i suoi confini. 

- Pakistan: attraverso i suoi servizi segreti, ha foraggiato l'integralismo islamico per anni. Ha probabilmente protetto e nascosto Osama Bin Laden per lungo tempo.

- Governo Sarkozy: si è reso responsabile della destabilizzazione della Libia, consentendo a parti del paese (Derna, Bengasi, ecc) di cadere nelle mani degli estremisti islamici.

- Governo Cameron: corresponsabile della destabilizzazione della Libia. Voleva replicare il fatto in Siria, ma è stato fermato fortunatamente dal parlamento inglese.

- Governo Obama: responsabile della disastrosa politica estera Usa degli ultimi anni. Colpevole di aver aiutato i "ribelli" siriani, che poi non erano altro che jihadisti. Intrattiene rapporti di affari con tutti i principali sponsor del terrorismo islamico (Arabia Saudita, Qatar, ecc)

- McCain e Neocon: Il primo (senatore Usa) si è fatto vedere insieme ai ribelli siriani, che poi erano dei jihadisti. I secondi continuano a riproporre le loro strategie fallimentari, che hanno ammazzato centinaia di migliaia di persone e riempito i conti correnti delle corporation militari/industriali/bancarie. Foto ricordo di McCain:



- Affaristi: banchieri, lobbysti, multinazionali, tutti presi da affari e speculazioni (oltre che riciclaggio) ad alto livello con i maggiori sponsor del terrorismo islamico. Molti ci hanno guadagnato da guerre inutili e disastrose, speculando sulla ricostruzione...

- Politica Estera Usa: a partire dagli anni 70 un disastro continuo, fra finanziamenti ai mujaheddin, guerre inutili, mosse sbagliate, change regime sbagliati, speculazioni, affari e altro. Video ricordo:



- Governi Occidentali (tutti): Politica estera demenziale in medioriente degli ultimi tre decenni, che ha portato alla radicalizzazione del mondo mussulmano. Grandi sorrisi e affari con i principali finanziatori dell'islam oscurantista.

- Propaganda di destra: sostenitori di teorie becere (come la democrazia "esportata") hanno diffuso semplificazioni e idiozie. Hanno spinto la "Guerra al Terrore", che si è rivelata fallimentare.

- Propaganda di sinistra: sostenitori degli attacchi contro la Siria (Assad), la Libia in nome dei diritti umani. Insieme a intellettuali radical chic di sinistra hanno finito per favorire gli integralisti islamici. Ipocrisia a palate.

- Politica Israeliana: la sua ostilità per l'Iran e il condizionamento della politica estera americana, hanno finito per favorire i regimi sunniti, nettamente più pericolosi. Colpevole di tacita alleanza nei confronti dell'Arabia Saudita.

- Rambo da Tastiera: ad ogni attacco, sbraitano, insultano, invocano la guerra, lo sterminio, ecc, ma se ne guardano bene dal farlo sul serio. Non fanno niente per la propria società, a parte vomitare ignoranza e demenza su i social network. L'eterno paraculismo del "armiamoci e partite". 

- Turbocapitalismo: nome mai invocato in queste questioni (sacrilegio!), è responsabile dei disequilibri globali che alimentano disuguaglianze, guerre, terrorismo, plutocrazie e il disastroso rapporto fra Occidente e Medio-oriente.

- Elettori: Ultima parte della filiera, che finisce per spararsi su i propri piedi. Hanno votato per decenni i responsabili del disastro attuale (tutti i partiti andati al potere in Occidente), ma continuano imperterriti a legittimare il Sistema che li sta lentamente ammazzando. 



Edward Green