Era un periodo abbastanza ovattato tipico della distanza
temporale tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Era un inverno gelido e
ghiacciato quello dell’inizio dei miei vent'anni. Continuavo a scivolare. Pur
essendo marzo, una sera, dopo essere stato al pub con alcuni amici, ero caduto
su una lastra di ghiaccio resa invisibile dalla scarsità di luce dei lampioni, che
mi provoca un dolore lancinante all'osso sacro che mi sarei trascinato per
giorni e giorni.
Durante uno di quei giorni doloranti e ovattati ebbi una
folgorazione. Sentii la necessità di leggere con attenzione la sezione musicale
del quotidiano ‘Metro’, un quotidiano free press presente nella metropolitana di
Milano.
Era un periodo ovattato anche intellettualmente, ero al primo anno di
università ma la voglia di studiare stava passando, sostituita da una grande
voglia di introspezione incentivata dalla meditazione e dai suoni raglianti
della chitarra elettrica appena presa su cui incidevo, letteralmente, i primi
accordi punk.
Le mie orecchie spaziavano da Franco Battiato agli Smiths, ma
in quel periodo erano sature della solita musica che mi tenevo sul mp3 e
necessitavano di nuovi ascolti.
Tornando dall’università sentii l’esigenza di leggere
approfonditamente gli articoli di musica di Metro e subito la mia attenzione
portò i miei occhi su un titoletto:
“EDDA torna con Odio i
Vivi: l’ex voce del gruppo hard rock anni ’90 Ritmo Tribale torna sulle scene con
il suo secondo album”.
Era fatta. La folgorazione era in atto. È bastata
l’espressione hard rock anni ’90 per farmi scivolare nella curiosità di
esplorare un nuovo universo musicale.
Arrivato a casa, nel dopopranzo, decido di cercare qualche
informazione su questo misterioso Stefano Rampoldi, in arte Edda.
Mi saltano all’occhio altre parole che mi incatenano al
fascino emanato dalla sua figura: hare krishna, post punk, karma, fatica,
sofferenza, ironia, lavoro.
È un personaggio che incarna indubbiamente il mio approccio
punk alla vita e la mia tendenza alla trascendenza.
Cerco alcune video interviste su youtube e ne trovo subito
una. E’ del 2009. E’ una puntata de l’Era Glaciale, talk show condotto da Daria
Bignardi. Insieme a lui c’è Andrea de Carlo, che in realtà sembra essere stato
chiamato per approvvigionare gli
ascolti.
Ma la vera star è Edda.
Parla del suo amore per gli Hare Krishna, congregazione
religiosa fondata da Swami Praphubada, che si occupa di diffondere il verbo di
Krishna e gli insegnamenti della Baghavad Gita in occidente.
Inevitabilmente si parla anche dei suoi trascorsi con
l’eroina, esperienza che descrive con franchezza e rammarico. Si continua poi
illustrando l’esperienza in comunità e la sua nuova dimensione di cantante
solista, che si aiuta con una chitarra acustica e un mandolinista, Andrea
Rabbufetti (poco dopo subentrerà il rumorista seguace di John Cage Sebastiano
de Gennaro).
Per quella giornata decido di saziare la mia sete musicale in
maniera parca, ascoltando cioè una canzone di Semper Biot (primo album da
solista) e una qualsiasi del periodo con i Ritmo Tribale.
Da Semper Biot scelgo l’Innamorato,
la cui malinconia mi si infiltra nello stomaco e la frase “prova a metterti nei panni miei/che sono Stefano/ l’incoronato” mi
buca l’addome con un suono di verità.
Anche lui come me parla con i propri fantasmi.
Del periodo “Ritmo Tribale” mi capita una canzone profetica, Maya.
Il fragore post punk a cui sono avvezzo sprigiona una
quantità enorme di endorfina aiutata dall’inciso “prigioniero nelle mani di Maya e tu lo sei”.
Secondo la filosofia induista i nostri occhi sono offuscati
dal velo di Maya. La realtà che pensiamo di percepire non è altro che un
effimero frutto di un’illusione ormai consolidata.
Da quel momento in poi mi accorgo che il mio cuore sta
iniziando a battere un ritmo nuovo.
**A seguire la videointervista realizzata quest’estate
divisa in tre parti. La videocamera di un tablet ha filmato il ritratto di un’anima
sensibile. Restiamo sintonizzati.
Occidente
Nessun commento:
Posta un commento