venerdì 14 marzo 2014

TAVOLA CALDA: SORRENTINO, UN ESEMPIO DI ANTIDIVO

Il prendersi sul serio sembra essere un atteggiamento ormai comune, in qualsiasi campo.

Spesso si ostenta la propria capacità di saper fare qualcosa, di qualsiasi tipo, pur di sentirsi apprezzati e al centro dell’attenzione, nel centro del mirino di quella che in altri ambiti si chiamerebbe vanagloria.

L’ambito della creatività pullula di queste figure dalla notte dei tempi. Il primo step è quello della forma. Più un’opera raggiunge certi requisiti formali, più risulta riuscita e quindi l’artista –o presunto tale- si arroga il diritto di ostentare le proprie capacità.

Equazione che registi/artisti del calibro di Paolo Sorrentino ribaltano senza fatica.

Non sembra vero ma dietro una maschera di riservatezza si cela una grande umiltà che si accompagna ad un grande talento.

Attivo anche sul fronte della scrittura,  Sorrentino dice di voler realizzare film << per poterli prima scrivere >>. Lo stesso Toni Servillo afferma che le sue sceneggiature sono scritte in una maniera intrigante che ti cattura.

<< Ringrazio Fellini, Scorsese, i Talking Heads e Maradona>> questo il discorso di ringraziamento per il premio oscar di recente ricevuto, un discorso totalmente improvvisato, interamente guidato dall’emozione.
Un discorso non preparato ma che riassume alla perfezione le figure che fanno parte del cosmo del regista partenopeo.

Fellini e Scorsese rappresentano l’amore per il cinema, con due velocità diverse.

I Talking heads l’amore per l’hard rock, omaggiato in This is must be the place.

Maradona è una metafora del calcio eroico e spettacolare, un’icona che ha un sapore di santità per chi ha trascorso l’adolescenza negli anni ottanta a Napoli.

Le storie che Sorrentino racconta sono semplici, afferma lui.

Catalogando i suoi film vediamo personaggi grotteschi e cinici dal cuore d’oro, ci si imbatte in cantanti edonisti sul viale del tramonto, calciatori umiliati dalla vita dotati di una tecnica rivoluzionaria, usurai, trafficanti di eroina che si scontrano con l’amore, rockstar cinquantenni che vogliono mettere le cose a posto e scrittori con un talento che non sanno di possedere.

Un corpus umano decisamente interessante.

Sorrentino non propone formule o proclami, analizza la realtà nel modo in cui la percepisce offrendone una visione lucida e veritiera attraverso personaggi che possono sembrare caricature. E forse lo sono, ma del resto chi non lo è.

Seguendo un filo conduttore narrativo che si estende per quasi tutta la cinematografia di Sorrentino, la vita, nel momento in cui viene stravolta e sembra un’eterna stasi, autorizza i personaggi ad uscire dal ruolo che si erano imposti e a comportarsi come attori protagonisti del proprio, grande e misterioso spettacolo in cui l’unica regola diventa la leggerezza, la sola arma che consente di districarsi dall'amaro intrico dell’esistenza.

Come in un gioco, inteso alla maniera dei bambini, ovvero se il gioco è la realtà, la realtà stessa è un  gioco.

Se il cinema raffigura la Grande Bellezza, Sorrentino insegna, senza volerlo, l’Arte del prendersi gioco della seriosità.


Occidente

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