Il prendersi
sul serio sembra essere un atteggiamento ormai comune, in qualsiasi campo.
Spesso si
ostenta la propria capacità di saper fare qualcosa, di qualsiasi tipo, pur di
sentirsi apprezzati e al centro dell’attenzione, nel centro del mirino di
quella che in altri ambiti si chiamerebbe vanagloria.
L’ambito
della creatività pullula di queste figure dalla notte dei tempi. Il primo step
è quello della forma. Più un’opera raggiunge certi requisiti formali, più
risulta riuscita e quindi l’artista –o presunto tale- si arroga il diritto di
ostentare le proprie capacità.
Equazione
che registi/artisti del calibro di Paolo
Sorrentino ribaltano senza fatica.
Non sembra
vero ma dietro una maschera di riservatezza si cela una grande umiltà che si
accompagna ad un grande talento.
Attivo anche
sul fronte della scrittura, Sorrentino
dice di voler realizzare film << per poterli prima scrivere >>. Lo
stesso Toni Servillo afferma che le sue sceneggiature sono scritte in una
maniera intrigante che ti cattura.
<<
Ringrazio Fellini, Scorsese, i Talking Heads e Maradona>> questo il
discorso di ringraziamento per il premio oscar di recente ricevuto, un discorso
totalmente improvvisato, interamente guidato dall’emozione.
Un discorso
non preparato ma che riassume alla perfezione le figure che fanno parte del
cosmo del regista partenopeo.
Fellini e
Scorsese rappresentano l’amore per il cinema, con due velocità diverse.
I Talking
heads l’amore per l’hard rock, omaggiato in This is must be the place.
Maradona è
una metafora del calcio eroico e spettacolare, un’icona che ha un sapore di
santità per chi ha trascorso l’adolescenza negli anni ottanta a Napoli.
Le storie
che Sorrentino racconta sono semplici, afferma lui.
Catalogando
i suoi film vediamo personaggi grotteschi e cinici dal cuore d’oro, ci si
imbatte in cantanti edonisti sul viale del tramonto, calciatori umiliati dalla
vita dotati di una tecnica rivoluzionaria, usurai, trafficanti di eroina che si
scontrano con l’amore, rockstar cinquantenni che vogliono mettere le cose a
posto e scrittori con un talento che non sanno di possedere.
Un corpus
umano decisamente interessante.
Sorrentino
non propone formule o proclami, analizza la realtà nel modo in cui la
percepisce offrendone una visione lucida e veritiera attraverso personaggi che
possono sembrare caricature. E forse lo sono, ma del resto chi non lo è.
Seguendo un
filo conduttore narrativo che si estende per quasi tutta la cinematografia di
Sorrentino, la vita, nel momento in cui viene stravolta e sembra un’eterna
stasi, autorizza i personaggi ad uscire dal ruolo che si erano imposti e a
comportarsi come attori protagonisti del proprio, grande e misterioso
spettacolo in cui l’unica regola diventa la leggerezza, la sola arma che
consente di districarsi dall'amaro intrico dell’esistenza.
Come in un
gioco, inteso alla maniera dei bambini, ovvero se il gioco è la realtà, la
realtà stessa è un gioco.
Se il cinema
raffigura la Grande Bellezza, Sorrentino insegna, senza volerlo, l’Arte del
prendersi gioco della seriosità.
Occidente
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